È passato un anno da quando Antonio Canapini ci ha lasciati, periodo durante il quale centinaia di migliaia di “candele” hanno continuato ad accendersi nel laboratorio a lui dedicato, contate dagli strumenti che egli ha fortemente voluto far ospitare dal nostro Istituto.
Il progetto EEE
Antonio aveva intuito la portata del Progetto EEE (Extreme Energy Events), che si configura come l’unico progetto di ricerca scientifica “seria” per le scuole, concepito da Antonino Zichichi oltre una decina di anni fa, e per questo si era adoperato affinché la nostra Scuola entrasse a far parte della rete di “cacciatori di raggi cosmici”.
Il rivelatore montato nei locali del Sarrocchi serve appunto per effettuare misure sugli sciami di raggi cosmici, presenza invisibile e costante, ma ininfluente, della nostra quotidianità. Giungendo dallo spazio, essi attraversano allo stesso modo noi o un solaio di cemento armato, proseguendo praticamente indisturbati nella loro traiettoria.
Un po’ di storia...
I raggi cosmici non sono raggi, ma particelle. È stata mantenuta la denominazione “sbagliata” per motivazioni storiche poiché, quando essi furono osservati per la prima volta, se ne ignorava la natura e l’origine: non solo non si capiva se essi fossero radiazioni o corpuscoli, ma nemmeno se giungessero dal basso o dall’alto.
Già Coulomb nel 1785, e oltre un secolo più tardi i coniugi Curie, si erano accorti che nell’aria vi era un qualcosa di altamente penetrante che era in grado di scaricare un elettroscopio a foglie d’oro anche se esso veniva isolato. Nel primo decennio del ventesimo secolo gli studi dell’austriaco Victor Franz Hess e dell’italiano Domenico Pacini dimostrarono parallelamente ed indipendentemente l’origine extraterrestre di questo fenomeno misterioso; il primo ascendendo eroicamente fino a 5000 metri di altitudine su un pallone aerostatico; il secondo immergendosi nel lago di Bracciano e nel mare antistante Livorno. In entrambi i casi i loro elettroscopi mostravano la stessa cosa, ovvero che l’intensità della radiazione aumentasse con l’altitudine e diminuisse con la profondità, portando alla logica conclusione che la sua origine non potesse essere terrestre (ad esempio dovuta a fenomeni radioattivi naturali) ma necessariamente proveniente dallo spazio. Hess, per le sue scoperte, fu insignito del premio Nobel nel 1936, quando Pacini era scomparso da due anni, e il premio non viene assegnato postumo.
Negli anni ‘20 Millikan era ancora convinto che i raggi cosmici fossero essenzialmente costituiti da raggi gamma; Compton fu il primo a ipotizzare che si trattasse di particelle cariche, poiché esse subivano l’influenza del campo geomagnetico terrestre; nel 1931 l’italiano Bruno Rossi propose che si potesse trattare di particelle positive e la sua intuizione fu dimostrata sperimentalmente da Alvarez e Compton.
Ulteriori contributi di Fermi, Cocconi, Oppenheimer e, parallelamente, del sovietico Kozyrev portarono a comprendere in maniera completa la natura del fenomeno, ovvero che i raggi cosmici sono particelle accelerate da processi solari o da eventi altamente energetici di origine remota (supernovae, stelle di neutroni, quasar); tra esse vi sono diversi nuclei di atomi, a partire da quelli di idrogeno (protoni) e di elio (particelle α) fino a nuclei più pesanti come ferro e uranio, ma anche piccole percentuali di elettroni e altre particelle subatomiche.
...e un po’ di teoria
I raggi cosmici sono chiamati primari se provengono direttamente dallo spazio, secondari se hanno origine dagli impatti delle particelle primarie con l’atmosfera. Tali interazioni danno luogo, a partire da una sola particella primaria, a uno sciame di particelle secondarie (il cosiddetto shower), composto da protoni, neutroni, pioni e kaoni. Queste particelle,interagendo ulteriormente tra loro danno origine a elettroni, neutrini e muoni.
I muoni hanno una grande importanza nell’ambito delle verifiche sperimentali della fisica moderna, poiché essi rappresentano un esempio reale di gemelli nel famoso paradosso di Einstein: infatti noi non potremmo osservare nessun muone, se non generato in quiete in un laboratorio, poiché la sua vita media è di circa due milionesimi di secondo; sarebbe pertanto impossibile osservare un muone prodotto nell’atmosfera poiché esso non “vivrebbe” abbastanza per arrivare fino a noi. Ma la loro velocità, prossima a quella della luce, fa sì che la loro vita si allunghi, come previsto dall’equazione della dilatazione dei tempi di Einstein nell’ambito della Relatività Ristretta, tanto da arrivare a interagire col nostro rivelatore.
Un ulteriore aspetto dell’importanza storica dei raggi cosmici negli studi sulla fisica delle alte energie risiede nel fatto che, nell’era antecedente all’utilizzo degli acceleratori di particelle, essi hanno consentito la scoperta e la classificazione delle numerose particelle nucleari e subnucleari che abbiamo citato, e sono state utilizzate come sorgente di particelle ad alta energia. Infatti alcuni raggi cosmici, detti EECR (Extreme Energy Cosmic Rays) o UHECR (Ultra High Energy Cosmic Rays), giungono sulla Terra con velocità praticamente coincidenti con quella della luce, il che significa che la loro energia, nonostante la massa piccolissima, raggiunge valori macroscopici: la cosiddetta Oh My God Particle, registrata dal rivelatore Fly’s Eye II dell’Università dello Utah il 15 ottobre 1991, possedeva un’energia cinetica di circa 50 joule, quanto quella di una pallina da tennis battuta da un professionista a 100 km /h!
L’osservatorio
Il nostro rivelatore è in funzione per questo motivo, nella paziente attesa che un muone a energia estrema decida di passare dalle parti del Sarrocchi; e nel frattempo registra anche i passaggi di muoni “ordinari”, che sono migliaia all’ora. Lo stesso fanno gli altri oltre 50 rivelatori montati nelle scuole di tutto lo Stivale che hanno aderito al progetto EEE. La registrazione di una particella a così alta energia sarebbe una scoperta scientifica di portata mondiale, soprattutto considerando che il programma di ricerca è condotto da ragazzi, e avere una rete di rivelatori più possibile diffusa sul territorio aumenta la probabilità che ciò avvenga. Gli studenti portano avanti un lavoro di routine, che consiste nella manutenzione dell’impianto, nel controllo dell’hardware che gestisce la sensoristica, nello scaricamento dei dati e nella loro trasmissione al centro di calcolo CNAF/INFN (Centro Nazionale Analisi Fotogrammi dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare).
Come vediamo i muoni
L’osservatorio è composto da tre MRPC (Multigap Resistive Plate Chamber), ovvero “contenitori” rettangolari lunghi un paio di metri, larghi circa 1 e spessi una decina di centimetri. Al loro interno, parallelamente al lato lungo, corrono un certo numero di “tagliatelle” (layer) in rame, immerse in un gas che viene continuamente flussato nelle camere. Quando un muone attraversa una camera, ionizza il gas, e ciò fa scorrere una corrente nella striscia di rame più vicina. Ai capi di ogni striscia vengono misurati sia la corrente che l’istante in cui essa si manifesta. Dalla differenza degli istanti di tempo a cui i due segnali giungono alle estremità si può risalire al punto lungo la striscia in cui è avvenuta la ionizzazione e, contando su quale striscia ciò è avvenuto, si risale con buona approssimazione al punto in cui è transitato il muone. Ciò, a seconda dell’angolo di incidenza, può avvenire in una, due o tutte e tre MRPC. Vengono considerati “buoni” solo i casi di coincidenza del segnale, ovvero quando un segnale viene registrato praticamente in contemporanea da tutti e tre i rivelatori. Chiaramente si ha coincidenza spaziale solo se la particella giunge perpendicolarmente al suolo, altrimenti, andando a misurare i punti di passaggio sui tre piani, si risale all’angolo con cui la particella è giunta a terra.
Sviluppi futuri
Un progetto di analisi dei dati che sarà portato avanti dai nostri ragazzi consisterà nel valutare come la latitudine e la longitudine influenzino tale angolo, accedendo ai dati misurati da altri osservatori della rete EEE. Il gruppo sta inoltre valutando di implementare alcune idee, che vanno dalla costruzione di piccoli rivelatori portatili, al controllo in remoto delle valvole dei gas, all’analisi automatizzata dei dati, fino all’effettuazione di misure in luoghi esterni alla scuola. Ciò al duplice scopo di coinvolgere un numero sempre maggiore di studenti e di usufruire del know-how dei corsi di specializzazione, che costituisce il patrimonio del Sarrocchi.
Il tutto per tenersi occupati nell’attesa di fare “il botto”, misurando il passaggio di una particella ad altissima energia. E quando ciò accadrà non avremo dubbi, saremo certi di chi ce l’ha inviata da lassù.
Ciao Antonio!